Storie vere

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LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI

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Un film intenso che ricostruisce quella leggendaria insurrezione contro i tedeschi

Che il periodo della Seconda Guerra Mondiale abbia regalato molte storie al cinema è ormai un dato di fatto. Situazioni, vicende ed episodi di grande intensità emotiva che hanno contribuito ad aiutare lo stesso genere, quello bellico, a crescere e ad avere un seguito di appassionati, anche tra gli storici. Produzioni medio-grandi rimaste scolpite nella memoria di tutti scrivendo, a sua volta, la storia della settima arte. Capita alle volte, specie nella rubrica ‘Storie Vere’, di soffermarsi su opere cinematografiche belliche che rientrano nel triplice novero di genere drammatico, storico e guerra, appunto. Film non sempre a stelle e strisce che narrano una storia di eroismo di una città che si ribellò agli invasori.

La parola ‘eroismo’ è usata per definire nel miglior modo possibile, senza retorica, la storica insurrezione della città di Napoli, avvenuta tra il 27 ed il 30 settembre del 1943 contro i tedeschi, ricostruita da Nanny Loy nel suo capolavoro ‘Le Quattro Giornate di Napoli’. Un film che nonostante non viene contemplato fra le altre opere del genere neorealiste ma che, seppur indirettamente, rientra perfettamente in quel tipo di categoria, soprattutto per lo stile con cui è stato proposto.

Uscito diciannove anni dopo gli eventi, il film, venne in realtà anche ispirato da un libro pubblicato sei anni prima, dal titolo: Napoli – La città insorge, scritto dal giornalista Aldo De Jaco. La sceneggiatura, invece, è stata realizzata da Carlo Bernari, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa e dallo stesso Nanny Loy. Questo lavoro di squadra valse, addirittura, la nomination all’edizione degli Oscar del 1963 per la miglior sceneggiatura originale.

Nel film la storia, quella reale e quella amara, viene perfettamente miscelata al dramma e ad alcuni e piccolissimi momenti di commedia, volti in entrambi i casi ha mostrare l’immensa anima del popolo napoletano. Con attori di altissimo livello, sia teatrale che cinematografico, i quali rappresentavano il meglio dell’arte della recitazione napoletana, italiana ed internazionale. Un cast di prim’ordine, dove il nome dell’interprete non serve solo ad attirare il pubblico ma a fornire una prestazione al servizio della trama stessa.

Da Raf Vallone a Carlo Taranto, da un giovane Enzo Cannavale a Luigi De Filippo, da Pupella Maggio a Regina Bianchi; e poi ancora: Lea Massari, Frank Wolff, Aldo Giuffrè, Jean Sorel, George Wilson, Curt Lowens, Domenico Formato e Gian Maria Volontè. Questi ultimi due hanno interpretato due personaggi in particolare: Domenico Formato impersonò il giovanissimo Gennaro Capuozzo, lo scugnizzo ucciso dai tedeschi, mentre Gian Maria Volontè vestiva i panni del misterioso agente segreto Vincenzo Stimolo, anche se nel film il suo vero nome non viene mai nominato ma viene sempre indicato con l’appellativo di ‘O’ Capitan’.

Oltre alla nomination come miglior sceneggiatura originale, il film ottenne tre Nastri D’Argento su sei candidature: miglior regia, miglior sceneggiatura e miglior attrice protagonista a Regina Bianchi. Un Golden Globe come miglior film straniero ed un British Academy Film Award, sempre come film straniero. In entrambi i casi si parla sempre di candidature.

‘Le quattro giornate di Napoli’ è un film corale, intenso dal punto di vista emotivo e che ci catapulta nell’immediato del dramma dell’occupazione nazista e dell’insurrezione, con scene anche semplici ma significative ed intense dal punto di vista emotivo. Un film dedicato alla memoria di tutti coloro che lottarono per la libertà ed in modo particolare alla figura del giovanissimo scugnizzo Gennarino Capuozzo, il quale morì colpito da una granata tedesca e non come si vede nell’opera di Nanny Loy. E’ chiaro che questa scelta è dovuta nel tentativo di addolcire, visivamente, una morte cruenta già di suo.

In ultima analisi non può mancare un commento positivo sull’ulteriore elemento trainante del film, ovvero la colonna sonora. Firmata dal compositore Carlo Rustichelli, quella che si ascolta durante la visione è una musica trascinante e toccante, che oltre alla candidatura avrebbe meritato direttamente il Nastro d’Argento.

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ALLA LUCE DEL SOLE: IL CORAGGIO DI DON PINO PUGLISI

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Nel film di Faenza vengono raccontati gli ultimi due anni del prete anti-mafia

Nella lotta alla mafia le persone che hanno sacrificato la loro vita non hanno sempre indossato la divisa da poliziotto, da carabiniere o la toga da magistrato. Alle volte è capitato che le divise fossero altre, istituzionali, ma legate alla fede. A ‘Storie vere’ l’ennesimo fatto tragico da ricordare; una storia, appunto, fondata sul coraggio, nonostante il timore e la certezza di soccombere per un’unica colpa: quella di portare la speranza nei posti dimenticati da Dio.

Forse questo è l’unico modo di definire l’operato del parroco di Brancaccio che corrispondeva al nome di Don Pino Puglisi. La sua vicenda, la sua storia rivive nel film del 2005, scritto e diretto da Roberto Faenza e intitolato: ‘Alla luce del sole’.

Uscito esattamente il 21 gennaio del 2005, il film, ricostruisce gli ultimi anni di vita del prete antimafia: dal 1991, anno in cui ritorna nel suo quartiere natio al 15 settembre del 1993. Giorno non solo del suo cinquantaseiesimo compleanno ma anche della sua tragica morte, avvenuta per mano dei sicari di cosa nostra. Ad interpretarlo c’è un bravissimo Luca Zingaretti.

‘Alla luce del sole’ oltre che un’opera biografica si presenta anche come un mero spaccato di una Palermo, vista attraverso uno dei quartieri più degradati, dove la subcultura mafiosa era troppo forte da poter essere spazzata via. Lui, Don Pino Puglisi, riuscì in quella missione impossibile, facendo breccia nell’animo dei ragazzi di strada che giocavano a pallone. Li conquistò ad uno ad uno e a poco a poco.

Faenza ci mostra la semplicità di un uomo comune, la tenacia di cambiare le cose e l’isolamento che lo stesso parroco subì non solo per l’indifferenza di molti, ma anche dalla paura di affrontare conseguenze come quella a cui andò incontro lo stesso Don Pino Puglisi quel mercoledì sera.

Il giudizio sul film non è negativo. Non può esserlo, per il semplice motivo che la storia è stata riportata sullo schermo con molta umiltà e semplicità. Nonostante ciò, per dovere di cronaca, sono state riscontrate delle differenze con la realtà. Eterogeneità che hanno il sapore di piccoli errori storici i quali, molte volte, fungono da inspiegabili licenze poetiche. Il primo errore riscontrato è quello riguardante la strage di Via d’Amelio: è risaputo che la vettura fruita dai mafiosi era una fiat 126 verde pisello. Non si sa come, nel film, la vettura è una Seat Ibiza. Altro errore, e non di poco conto, è la ricostruzione dell’omicidio di Don Pino Puglisi. Nella realtà, purtroppo, il suo omicidio avvenne di sera alle ore 22.00, nella pellicola di pomeriggio. Non finisce qui. Nella stessa scena, ad attendere Don Puglisi ci sono Gaspare Spatuzza e Salvatore Grigoli con i fratelli Graviano. Ma questi ultimi, nella realtà, non erano presenti. Altra incongruenza è rappresentata dalla frase che lo stesso parroco anti-mafia rivolge ai suoi assassini: ‘me lo aspettavo’ e ‘non vi aspettavo’. Ultima: Don Pino Puglisi alla vista dei killer sorrise e non mostrò alcuna paura come si vede nel film.

Queste incongruenze, seppur notevoli, non scalfiscono il principale scopo di quest’opera cinematografica: quella di ricordare e di riportare alle nuove generazioni, non solo di siciliani, l’esempio di un uomo il quale aveva messo la sua al servizio di Dio e del prossimo fino alla fine, sapendo a ciò che andava incontro.