Altro appuntamento con le storie vere e altra opera cinematografica ispirata da un cruento fatto di cronaca, nuovamente a sfondo razziale, avvenuto la notte tra il 21 ed il 22 giugno del 1964 quando, nella contea di Neshoba, nello Stato del Mississippi, tre giovani attivisti dei diritti civili vennero brutalmente assassinati da alcuni membri del Ku Klux Klan. Il film, diventato con il tempo anche un piccolo cult, uscì nella sale cinematografiche il 2 dicembre del 1988 e il titolo, altamente emblematico, era ‘Mississippi Burning’, come era altamente significativo anche il sottotitolo che gli stato attribuito in fase di doppiaggio: ‘Le radici dell’odio’.
Diretto da Alan Parker ed interpretato da Gene Hackman e Willem Dafoe il film, oltre al caso di cronaca che catalizzò l’attenzione di un’intera nazione, offre un quadro preciso di cosa fosse il Mississippi all’epoca dei fatti; uno Stato che si differenziava e di molto anche dal resto dell’America. In questo lungometraggio viene recitata una battuta con la quale, in Freetopix.net, è stato aperto l’articolo di qualche settimana addietro sul caso George Floyd: “In quale Stato bisogna spostare le lancette di un secolo? Nel Mississippi”. Battuta magistralmente recitata da Gene Hackman nei panni di un rude agente dell’Fbi, inviato da J. Edgar Hoover per indagare sulla sparizione dei ‘tre ragazzi dei diritti civili’. Il nome del personaggio è Rupert Andersson, ma nella realtà si chiamava John Proctor. Anche il personaggio impersonato da Willem Dafoe è un agente federale. Nella finzione il nome è Alan Ward, ma nella realtà si chiamava Joseph Aloysius Sullivan.
La sceneggiatura, sviluppata da Chris Gerolmo, riesce nella missione non solo di ricostruire la vicenda, ma di giocare sia con la realtà che con la fantasia: facendo muovere, in una trama fin troppo amara e dura, personaggi fittizi ispirate a persone realmente esistite. Uno sviluppo di film che non ammette scuse su quanto accadde il quella prima notte estiva e che, per certi versi, cerca di trovare, anche, una motivazione per tutta quella follia emersa.
Motivazione che si ritrova in un’ulteriore frase recitata da una strepitosa attrice, e dal talento naturale, Frances McDormand, in uno dei momenti più drammatici del film: “La segregazione è quello che dice la Bibbia. Genesi 9, versetto 27”. Il personaggio è quello della moglie del vice-sceriffo, Clinton Pell, che insieme ad un altro membro effettivo del Klan, Lester Cowans, rappresentano la vera figura dell’informatore dell’Fbi che rivelò quello che successe ai tre ragazzi: James Jordan.
Alla notte degli Oscar del 1989, ‘Mississippi Burning’, arrivò con ben sette nominations, riuscendo ad ottenere solamente una statuetta: come miglior fotografia. Tra le varie nominations è bene ricordarne tre: quella come miglior attrice non protagonista a Frances McDormand, come miglior regia ad Alan Parker e come miglior attore protagonista Gene Hackman. Questi ultimi due furono addirittura considerati, come film straniero, per il David Di Donatello.
Mississippi Burning porta alla luce un amaro caso di cronaca che è un vero e proprio schiaffo in faccia. Raccontato tra il genere giallo ed il thriller, i dialoghi, diretti, sono tenuti lontani dalla retorica di rito ed in più, senza volerlo, sono più vicini ad un rude poliziesco sul grande schermo. Sorretto da un Hackman in stato di grazia, da una McDormand che avrebbe meritato la statuetta, come il suo collega, e da un Willem Dafoe capace, da par suo e al tempo stesso, di non eclissarsi e né di prevaricare il suo ‘partner’ di lavoro; ma riesce ad essere sia primo che secondo attore, anche nei momenti ironici di Gene. Un film che deve il nome all’indagine che ne derivò, un film che in questo genere particolare, delle storie vere, è un vero e proprio gioiello da vedere e da rivedere.