Settembre 2020

Storie Vere

LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI

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Un film intenso che ricostruisce quella leggendaria insurrezione contro i tedeschi

Che il periodo della Seconda Guerra Mondiale abbia regalato molte storie al cinema è ormai un dato di fatto. Situazioni, vicende ed episodi di grande intensità emotiva che hanno contribuito ad aiutare lo stesso genere, quello bellico, a crescere e ad avere un seguito di appassionati, anche tra gli storici. Produzioni medio-grandi rimaste scolpite nella memoria di tutti scrivendo, a sua volta, la storia della settima arte. Capita alle volte, specie nella rubrica ‘Storie Vere’, di soffermarsi su opere cinematografiche belliche che rientrano nel triplice novero di genere drammatico, storico e guerra, appunto. Film non sempre a stelle e strisce che narrano una storia di eroismo di una città che si ribellò agli invasori.

La parola ‘eroismo’ è usata per definire nel miglior modo possibile, senza retorica, la storica insurrezione della città di Napoli, avvenuta tra il 27 ed il 30 settembre del 1943 contro i tedeschi, ricostruita da Nanny Loy nel suo capolavoro ‘Le Quattro Giornate di Napoli’. Un film che nonostante non viene contemplato fra le altre opere del genere neorealiste ma che, seppur indirettamente, rientra perfettamente in quel tipo di categoria, soprattutto per lo stile con cui è stato proposto.

Uscito diciannove anni dopo gli eventi, il film, venne in realtà anche ispirato da un libro pubblicato sei anni prima, dal titolo: Napoli – La città insorge, scritto dal giornalista Aldo De Jaco. La sceneggiatura, invece, è stata realizzata da Carlo Bernari, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa e dallo stesso Nanny Loy. Questo lavoro di squadra valse, addirittura, la nomination all’edizione degli Oscar del 1963 per la miglior sceneggiatura originale.

Nel film la storia, quella reale e quella amara, viene perfettamente miscelata al dramma e ad alcuni e piccolissimi momenti di commedia, volti in entrambi i casi ha mostrare l’immensa anima del popolo napoletano. Con attori di altissimo livello, sia teatrale che cinematografico, i quali rappresentavano il meglio dell’arte della recitazione napoletana, italiana ed internazionale. Un cast di prim’ordine, dove il nome dell’interprete non serve solo ad attirare il pubblico ma a fornire una prestazione al servizio della trama stessa.

Da Raf Vallone a Carlo Taranto, da un giovane Enzo Cannavale a Luigi De Filippo, da Pupella Maggio a Regina Bianchi; e poi ancora: Lea Massari, Frank Wolff, Aldo Giuffrè, Jean Sorel, George Wilson, Curt Lowens, Domenico Formato e Gian Maria Volontè. Questi ultimi due hanno interpretato due personaggi in particolare: Domenico Formato impersonò il giovanissimo Gennaro Capuozzo, lo scugnizzo ucciso dai tedeschi, mentre Gian Maria Volontè vestiva i panni del misterioso agente segreto Vincenzo Stimolo, anche se nel film il suo vero nome non viene mai nominato ma viene sempre indicato con l’appellativo di ‘O’ Capitan’.

Oltre alla nomination come miglior sceneggiatura originale, il film ottenne tre Nastri D’Argento su sei candidature: miglior regia, miglior sceneggiatura e miglior attrice protagonista a Regina Bianchi. Un Golden Globe come miglior film straniero ed un British Academy Film Award, sempre come film straniero. In entrambi i casi si parla sempre di candidature.

‘Le quattro giornate di Napoli’ è un film corale, intenso dal punto di vista emotivo e che ci catapulta nell’immediato del dramma dell’occupazione nazista e dell’insurrezione, con scene anche semplici ma significative ed intense dal punto di vista emotivo. Un film dedicato alla memoria di tutti coloro che lottarono per la libertà ed in modo particolare alla figura del giovanissimo scugnizzo Gennarino Capuozzo, il quale morì colpito da una granata tedesca e non come si vede nell’opera di Nanny Loy. E’ chiaro che questa scelta è dovuta nel tentativo di addolcire, visivamente, una morte cruenta già di suo.

In ultima analisi non può mancare un commento positivo sull’ulteriore elemento trainante del film, ovvero la colonna sonora. Firmata dal compositore Carlo Rustichelli, quella che si ascolta durante la visione è una musica trascinante e toccante, che oltre alla candidatura avrebbe meritato direttamente il Nastro d’Argento.

Bud&Terence

LO CHIAMAVANO BULLDOZER

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Bud Spencer tra ottimismo ed un pizzico di malinconia

Campi da football, un punto da segnare in una sfida e risse dove si ride a crepapelle. Sono questi i tre elementi del film stand-alone con Bud Spencer, senza il suo partner storico Terence Hill e il cui titolo richiama quello girato in coppia anni prima, ‘Lo chiamavano Bulldozer’. Diretto da Michele Lupo ed uscito il 5 ottobre del 1978, il film molto probabilmente, è uno dei più amati da parte dei suoi fans.

La trama, con soggetto e sceneggiatura realizzata in coppia da Marcello Fondato e Francesco Scardamaglia, ha uno sviluppo semplice, logico, senza forzature e con molti messaggi sia impliciti che espliciti, legati indissolubilmente ai valori dello sport in generale; quello stesso settore, anche se in una disciplina totalmente diversa, lo stesso Bud Spencer, con il suo vero nome, si è fatto valere con vittorie importanti nelle singole manifestazioni a cui ha partecipato.

Il cast di ‘Lo chiamavano Bulldozer’ è composto da tanti attori, cosiddetti caratteristi, che fungono, nelle singole scene, da spalla allo stesso attore napoletano; infatti non c’è un vero e proprio comico capace di trainare il tutto, ma tanti momenti, tanti sketch, tante battute e risse inanellate uno dopo l’altro come un perfetto collage da guastare fino alla fine.

La storia contemplata è una di quelle che ormai si possono considerare come racconti d’altri tempi, in cui uomini gloriosi si ritiravano improvvisamente e misteriosamente, anche se poi si scopre quale sia il vero motivo, per poi tornare con l’intenzione di regolare i conti con il passato. Come detto i valori dello sport la fanno da padrone e, in questa occasione, il valore insito, quello che dovrebbe essere radicato nell’animo umano è la lealtà, ma purtroppo non è sempre così.

Una lealtà calpestata dalla troppa sete di vittorie e di essere sempre i primi. Se nel finale il protagonista principale trionfa, emerge per tutta la durata del film il concetto di squadra e del sacrificio che ci vuole anche solo per segnare un punto. ‘Lo Chiamavano Bulldozer’ è un film da non sottovalutare, da tenere sempre presente per gli insegnamenti insiti e per la carica di ottimismo che contiene, miscelata ad una sottile malinconia per come vanno alcune situazioni nello sport.

Forever 80sSequels & Saghe

BEVERLY HILLS COP – LA SAGA DI EDDIE MURPHY

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Tra scene improvvisate e colonna sonora irripetibile il successo fu mondiale

Era il 1° dicembre del 1984 quando nei cinema americani uscì il primo capitolo di ‘Beverly Hills Cop’, la fortunatissima saga commedia-poliziesco interpretata da uno spettacolare Eddie Murphy. Un film, che come è stato appurato nella rubrica ‘Storie di cinema e di Serietv’, ha avuto una lavorazione alquanto complessa. Di certo rimarrà il dubbio, non molto convinto, di come sarebbero andate le cose se invece del giovane talento afroamericano ci fossero stati, nel ruolo del protagonista, Mickey Rourke o Sylvester Stallone. Sta di fatto che con l’irrefrenabile sfacciataggine dell’attore dall’iconica risata il film non solamente funzionò, ma divenne il secondo miglior incassò di quello stesso anno.

La sceneggiatura, realizzata dalla coppia Daniel Petrie Jr e Danilo Beach, ottenne addirittura la nomination all’edizione degli Oscar del 1985. Ma la candidatura in sé rappresenta una conferma di una serie di elementi maturati ed uniti durante la lavorazione di questa opera diretta dal regista Martin Brest. Elementi che hanno determinato, in modo assoluto, l’irripetibile successo di questo entusiasmante primo capitolo di una saga che si sta per trasformare, fra non molto, in una quadrilogia.

Oltre ai già citati meriti di Eddie Murphy, c’è bisogno anche di ricordare anche gli altri due attori, John Ashton e Judge Reinhold, nei rispettivi ruoli degli agenti di polizia John Taggart e William ‘Billy’ Rosewood. La coppia di interpreti, per tutta la durata del film, riesce a creare una perfetta intesa con il protagonista e, in alcuni momenti, sembrano talmente goffi da ricordare Stanlio e Ollio.

Si dice che molti scketch, molte battute non solo furono improvvisate e che gli stessi membri della troupe presenti, compresi gli attori, non riuscivano a non ridere. Ulteriore elemento trainante del film è rappresentato, in maniera inequivocabile, dalla potente colonna sonora. Potente per gli stupendi pezzi di quegli anni ed una base musicale, che per il sound elettronico dell’epoca, ha fatto scuola. Il riferimento è il tema principale realizzato dal compositore Harold Faltmayer ed il titolo riprende il nome del personaggio principale: Axel F.

Tra le altre hit da ricordare c’è il singolo di Patti Labelle che accompagna Eddie Murphy durante il suo ingresso nel quartiere ‘bene’ di Beverly Hills, con una serie d’inquadrature che fungono da spot pubblicitario per la stessa Los Angeles e per gli interi Stati Uniti d’America. La canzone, intitolata ‘Stir it up’, uscì come singolo solamente nei primi mesi del 1985.

All’inizio di questo nuovo appuntamento con ‘Saghe & Sequels’ e che inaugura la fortunatissima serie di film con Eddie Murphy, è stato accennato che ‘Beverly Hills cop’ ha rappresentato non solo il secondo incassò dell’anno 1984, secondo solo ai ‘Ghostbusters’ di Ivan Reitman, ma rappresenta, per Bruckheimer, il suo miglior incassò fino al 2003 con più di 234 milioni di dollari; scalzato solamente da ‘La maledizione della prima luna’ con ben 316 milioni di dollari.

Un risultato non da poco che deve essere inteso tranquillamente come un piccolo record, per un film iconico mai dimenticato in tutti questi anni. Da tempo è stato annunciato un quarto capitolo, ma la prossima settimana verrà analizzato il secondo episodio della saga.

Forever 80sStorie di Cinema e Serietv

LO STRANO LEGAME TRA BEVERLY HILLS COP E COBRA

Ciak

La storia di un soggetto che diede vita a due film iconici degli anni ‘80

E’ possibile che lo sviluppo di un soggetto cinematografico determini la realizzazione di ben due film distinti e separati? Due opere cinematografiche che, nello stesso tempo, hanno fatto storia diventando assoluti manifesti di un decennio in particolare? Da queste due domande la risposta che emerge è imprevedibilmente positiva e, in alcuni punti, lo è anche la storia che, in questo primissimo appuntamento con la rubrica ‘Storie di Cinema&Serietv’, viene svelata o, per coloro che già la conoscono, quanto meno ricordata.

Scherzando si potrebbe iniziare con la famosa apertura ‘Tutto ebbe inizio’ nell’anno 1977, quindi gli indimenticabili anni ’70; siamo a Hollywood e si sa che sotto a quella collina tutto, ma proprio tutto, può diventare possibile. Forse è anche per questo che i due film prendono forma attraverso la stessa idea. Il 1977 è l’anno di altrettante iconiche pellicole: ‘La Febbre del sabato sera’ e ‘Guerre Stellari’, il primo in assoluto della saga ideata da George Lucas.

In quei dodici mesi venne ideato il soggetto di un film che, inizialmente, avrebbe dovuto intitolarsi ‘Beverly Drive’ e lo sviluppo della sceneggiatura venne terminato solamente quattro anni più tardi, nel 1981. Fu letta da due persone in particolare, due produttori; uno di loro oggi è conosciutissimo anche nel mondo delle serie tv: Don Simpson, che scomparve nel 1996, e Jerry Bruckheimer, il futuro produttore della fortunatissima serie ‘Csi- Scena del crimine’.

Dopo una prima lettura i due decisero, quasi nell’immediato, che il ruolo da protagonista sarebbe dovuto andare a Mickey Rourke, ancora lontano dal successo mondiale di ‘Nove settimane e mezzo’; nonostante ciò si era fatto notare con pellicole come ‘1941 – Allarme a Hollywood’, ‘Dissolvenza in nero’ e ‘I cancelli del cielo’. Mickey accettò firmando un contratto in esclusiva per 400.000 dollari a questo punto, chiederete voi, tutto fatto? No.

Non si conosce il motivo, ma i tempi di lavoro si allungarono il più del dovuto e il buon Mickey diede il benservito ai due produttori. Sganciandosi dall’impegno preso e accettando un altro progetto cinematografico più veloce da realizzare: ‘Brivido caldo’. Uscito di scena Rourke si verificò un fatto curioso, un fatto prodromico per la nascita dell’altro film che più avanti sveleremo. Capitò che per gioco, non si sa se dovuto alla goliardia di Simpson o del suo collega Bruckheimer o addirittura della stessa Paramount che distribuì il futuro progetto, che venne contattato per scherzo nientepopodimenocchè Sylvester Stallone. Il quale accettò.

Accettando di prendere parte al progetto non solo la prese talmente sul serio ma decise, senza mezzi termini, di modificare diverse sequenze scritte all’interno della sceneggiatura. Risultato? L’elemento principale, quello della commedia, sparì completamente. Il ruolo di alcuni personaggi, chiave, all’interno della trama furono radicalmente modificati. Persino il cognome del protagonista venne mutato completamente.

A Simpson e Bruckheimer queste modifiche non piacevano proprio, soprattutto le parti violente e addirittura uno dei protagonisti era destinato ad una morte troppo cruenta per quella che doveva essere solamente una commedia. Stallone, forte dei successi in Rocky e in Rambo non volle cedere e alla fine cedette in un altro modo: consensualmente si allontanò dal progetto. ‘Sly’ mollò a soli sei settimane dall’inizio delle riprese. A quel punto per i due produttori iniziarono, veramente, i guai seri. ‘Beverly Drive’ rischiava veramente di non vedere mai la luce e invece…

… e invece nel frattempo c’era un altro attore che, impegnato in altri lavori, gli era giunta la voce della realizzazione di questo film. Non si sa bene chi chiamò per primo, comunque Simpson e Bruckheimer dovettero letteralmente volare da una costa all’altra degli Stati Uniti per incontrare colui che sarebbe diventato, definitivamente, l’attore principale del progetto cinematografico.

L’attore in questione era giovanissimo, ‘nero, riccio’ e con una comicità pungente e con una favela difficile da fermare. In quel periodo si stava facendo strada con i suoi personali ‘one man show’ e con il ‘Saturday Night Live’, senza dimenticare un film girato in coppia con Nick Nolte: ’48 ore’. Di sicuro, adesso, avete capito bene di chi si sta parlando: di Eddie Murphy.

Quando l’attore afroamericano accettò di prendere parte al lungometraggio mancavano solamente due settimane all’inizio delle riprese. Le scene ideate da Stallone vennero cancellate e sostituite con delle altre più comiche e anche le modifiche dello stesso vennero, a sua volta, annullate; in particolar modo il cognome.

Partiamo per esempio dalla figura femminile: con Stallone la protagonista aveva una storia con il personaggio principale, dopo Stallone è solamente un’amica; con Silvester c’era personaggio fratello del protagonista che veniva assassinato, in un secondo momento il personaggio ritornò ad essere solamente amico. Il cognome, con l’attore italo-americano, era Cobretti poi si trasformò in Foley. Ed anche il titolo venne modificato: non più ‘Beverly Drive’ ma un più iconico ‘Beverly Hills Cop’.

A questo punto avete anche intuito, con il cognome scelto in un primo momento da Stallone, di quale altro film stiamo parlando: Cobra, uscito esattamente due anni dopo a Beverly Hills cop e nonostante sia diventato un vero e proprio cult non ha avuto, dalla sua parte, quella giusta dose di fortuna per uno o più sequel. Molto probabilmente il motivo deve essere ricercato proprio nelle scene di violenza che in uscita portarono i distributori ha tagliarne una buona parte della durata e venne addirittura bollato, giustamente, come vietato ai minori di diciotto anni. E Beverly Hills Cop?

Il primo film con Eddie Murphy ebbe così tanta fortuna che, tre anni più tardi, venne pure prodotto un sequel altrettanto di livello come il primo, tranne per il terzo capitolo. Ma di questo ne parliamo a ‘Saghe Sequels’ con il link dell’articolo qui sotto:

Storie Vere

L’OMAGGIO SPENSIERATO DEL CINEMA ITALIANO A GIANCARLO SIANI

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Fortapasc: il film dedicato al giornalista-giornalista

La definizione del film ‘Fortapasc’? Semplice: è un omaggio ad un ‘Giornalista-giornalista’. Solo in questo modo può essere inteso il film di Marco Risi, uscito il 27 marzo del 2009, ed interamente dedicato alla figura del cronista campano de ‘Il Mattino’ Giancarlo Siani. Assassinato dalla camorra la sera del 23 settembre del 1985, pochi giorni dopo aver compiuto solo 26 anni. L’opera biografica non deve essere percepita come un omaggio distaccato, ma sentito e sincero e realizzato con la giusta dose di spensieratezza che non riesce in alcun modo a mitigare la rabbia per un epilogo troppo amaro.

L’espressione usata in apertura di articolo, ‘giornalista-giornalista’, è tratta da una delle scene più significative del film: il personaggio di Siani, interpretato da un somigliante Libero De Rienzo, passeggia sulla spiaggia di Torre Annunziata con il suo ex-caporedattore, il quale lo indottrina in modo diretto, ma semplice, sull’esistenza di due tipologie di cronisti: i giornalisti-giornalisti, appunto, e i giornalisti-impiegati. Qui sotto la scena:

Nel cast, oltre all’attore protagonista, spiccano anche attori come Massimiliano Gallo e Gianfelice Imparato, già conosciuti grazie alla serie de ‘I Bastardi di Pizzofalcone; un giovane Michele Riondino, Ennio Fantatichini, Fortunato Cerlino e Valentina Lodovini. La sceneggiatura era stata realizzata dallo stesso regista insieme al giornalista Andrea Purgatori, James Carrington e Maurizio Cerino. Ebbe diverse nominations sia ai David di Donatello, ai Nastri d’Argento, al Globo d’Oro e al Ciak d’Oro. L’unico premio che riuscì ad agguantare fu un globo per la miglior regia e tre ciak per la miglior fotografia, miglior manifesto e miglior colonna sonora a Franco Piersanti. Senza dimenticare la canzone che apre e chiude il film: quella di Vasco Rossi.

Giancarlo Siani era un cronista del Mattino quando venne assassinato il giorno 23 settembre del 1985. Quella stessa sera sarebbe dovuto andare a vedere il concerto di Vasco Rossi, proprio a Napoli. Per sua sfortuna non riuscì nemmeno a trovare i biglietti. Forse, semmai avesse avuto la fortuna di trovarli sarebbe uscito prima dal lavoro, per non recarsi a casa, ma per andare a vedere il suo idolo musicale con la sua fidanzata. Il film narra gli ultimi mesi di vita dello sfortunato giornalista-giornalista. Dalla posizione lavorativa come precario, all’ottenimento del posto fino al tragico epilogo.

Le inchieste di Siani erano quelle classiche indagini tipiche del giornalismo che rappresentavano un vero e proprio fastidio per coloro che, dalla fine dell’anno 1980 in poi, si erano arricchiti sulla tragedia del terremoto. Questa scena è un tipico esempio:

Storie di Cinema e Serietv

NUOVA RUBRICA: STORIE DI CINEMA E SERIE TV

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Storie di eventi, storie personali e di backstage sia del cinema che delle serie tv

In alcuni momenti parlare, analizzare, approfondire solo ed esclusivamente le singole opere sia relative al grande che al piccolo schermo non basta. Alle volte si avverte la necessità di raccontare o di far scoprire qualcosa che va oltre alla semplice canonica recensione. È risaputo che sia la settima arte che l’intrattenimento televisivo, in termini di serie tv, hanno da sempre attirato il pubblico con una tipologia di storie sconfinata. Belle o brutte che fossero, fantasiose o tristemente reali il duplice mondo dell’universo dei sogni ha da sempre raccontato storie.

Eppure, quello che un tempo veniva definito il mondo in celluloide, ha altre vicende da narrare, da sviscerare e non solo per incassare ai botteghini o intrattenere le persone davanti al televisore. Vicende che si sviluppano e che avvengono non grazie ad un copione scritto ma quelle che si sviluppano dietro ad una macchina da presa.

L’oggetto principale di questa nuovissima serie di appuntamenti non saranno solamente gli attori, dunque, non solo i cineasti più o meno rilevanti, si terranno presenti anche i vari produttori, sceneggiatori, doppiatori e ciò che si nasconde dietro le quinte di un film. Insomma tutto quello che ruota intorno a questo duplice mondo dei sogni e non sempre verranno raccontate storie piacevoli. Alcune di esse saranno addirittura amare.

Trovare la denominazione esatta, affine per il blog, per questa nuova rubrica non è stato poi così tanto semplice. Un titolo che non portasse fuori traccia, come un tema che ha quasi la connotazione di un compito in classe da non sbagliare. Ed affermare che il blog, in tutta la sua umiltà, non avesse già tentato di proporre, in passato, un’operazione del genere mentirebbe spudoratamente. Nel 2018 venne inaugurata la rubrica ‘Le Stelle’, ma ‘Le Stelle’ non brillarono come dovevano; anzi non convinse neanche fin dal principio. Era troppo cristallizzata sugli attori e forse su qualche qualche regista e nulla di più.

Con ‘Storie di Cinema&Serie Tv’ il discorso invece è totalmente differente ed è di gran lunga più ampio. Non attiene solo ai divi ma a tutti quegli eventi, storie personali e di backstage sia del cinema che delle serie tv. Prefiggendosi il semplice scopo di ricordare e, semmai, di far scoprire qualche aneddoto poco conosciuto, senza mai e poi mai confinare nel gossip.

In questa rubrica si mette in risalto il set e le vite di tutti coloro che lo vivono. Non quello chiacchierato o comunque patinato, per entrare nel merito e in maniera più approfondita nella storia stessa sia del cinema che delle serie tv. Il primo vero appuntamento: la settimana prossima.

Sequels & Saghe

QUELL’EPICO FINALE DE IL CAVALIERE OSCURO

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Il terzo capitolo concluse una trilogia irripetibile

E siamo giunti, anche un po’ a malincuore, al termine di questa ennesima saga che ha decretato la ripresa della rubrica dopo la pausa estiva. Partendo dal presupposto che in una serie di film cinematografici, nel caso specifico di una trilogia, l’ultimo capitolo è quello che non deve mai deludere, altrimenti tutto il lavoro svolto diventa inutile. Anche se c’è da considerare che tutti e tre sono oltremodo rilevanti: il primo perché rappresenta l’apertura, il secondo perché rappresenta il continuo e il terzo, appunto, la chiusura, per non dire che deve rappresentare un più che degno epilogo.

Nel caso ispecie della trilogia di Nolan, su Batman, l’attesa, dopo gli strepitosi capitoli del 2005 e del 2008, era ulteriormente alta quando, lo stesso regista inglese, annunciò che ‘Il cavaliere Oscuro – Il ritorno’ avrebbe determinato la chiusura del cerchio, per non dire la chiusura di un discorso suddiviso in tre parti sull’uomo pipistrello.

Normale aspettarsi, dunque, se non proprio un film superiore ai precedenti, almeno un lavoro dello stesso livello dei primi due capitoli. E si può dire che la delusione non ci fu. Il finale che lo stesso genio di Christopher Nolan ha ideato per Batman è uno dei più belli, entusiasmanti e commoventi della storia non solo del genere cine-fumettistico ma del cinema in generale.

Si riparte dalla ‘tagline’ non ufficiale del 2008: ‘o muori da eroe o vivi a lungo da diventare il cattivo’. Questo concetto è ben inteso fin dalle prime scene del terzo e ultimo episodio della saga dell’uomo pipistrello, in cui Batman si era preso la colpa dei crimini commessi da Harvey Dent/Due Facce. Ma a rimettere tutto in discussione c’è un nuovo nemico.

Il suo nome è Bane. Un componente della ‘Setta delle ombre’, affrontata e distrutta nel primo film. Ma Bruce Wayne, in questo capitolo, appare stanco, invecchiato e disilluso. E’ comunque consapevole che non può tirarsi indietro e che deve scontrarsi con il nuovo villain. Nella sua decisione si mette tutti contro, persino la spalla di sempre: il fedele maggiordomo Alfred Pennyworth.

In questa nuova sfida, però, non è solo: c’è l’attempato e disilluso Commissario Gordon, la misteriosa ladra Selina Kyle conosciuta come Cat-Woman, impersonata da Anne Hathaway, e da un altrettanto misterioso e giovane agente di polizia di nome Blake, impersonato da Joseph Gordon Levitt. In realtà questo personaggio è un omaggio alla terza versione del partner storico, Robin, che nei fumetti era proprio un poliziotto.

Dopo la morte di Dick Grayson, sempre nei fumetti, Bruce Wayne si prende cura di un altro orfanello chiamato proprio Blake, ed era un poliziotto di pattuglia. Elemento rispettato in parte in questo capitolo finale. In una scena Blake con Bruce Wayne afferma di aver capito chi è Batman e che lo stesso eroe mascherato ha l’obbligo di tornare.

‘Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno’ si fonda su due attese: quella dell’entrata in scena di Batman e se alla fine l’eroe di Gotham paga a caro prezzo il suo ritorno. L’epilogo, ossia la battaglia finale che si svolge all’alba, può essere interpretato come il termine del periodo di oscurità vissuto dalla città, Gotham City, e dal protagonista.

Le quasi tre ore del film sono un lungo ed epico addio e con una battaglia suddivisa, intelligentemente, in tanti piccoli significativi momenti che tengono sul fiato sospeso lo spettatore. Il cavaliere oscuro – il ritorno, di sicuro, non è allo stesso livello del precedente capitolo. Ma, molto probabilmente, è il miglior terzo episodio della storia delle trilogie cinematografiche.

Non si può non terminare questo articolo con la fra se più bella del film. Una frase che riassume l’essenza stessa della parola eroe:

Bud&Terence

PARI E DISPARI: UN FILM DAI 5 MILIARDI DI INCASSO

Pari e Dispari

Scritto da Amendola, Bruno e Sergio Corbucci

Il 28 ottobre del 1978 la coppia d’oro del cinema italiano, Bud Spencer e Terence Hill, tornò con il film ‘Pari e Dispari’, bissando il successo dell’anno precedente e diretti, questa volta, dal regista Sergio Corbucci. L’ambientazione era sempre quella della Florida e della città di Miami, per un film tutto schiaffoni e risse incorporate come per tradizione e, più precisamente, sulla tematica delle scommesse. Scritto da più mani, da Mario Amendola e da Bruno Corbucci, il padre di Sergio, per il soggetto e dallo stesso Amendola, Bruno Corbucci, Sabatino Ciuffini e dallo stesso regista ‘Pari e Dispari’, questo il titolo del film, vedeva il guardiamarina Johnny Firpo, impersonato da Terence Hill, impegnato nello sgominare una banda di allibratori clandestini.

Tra mille escamotage riesce non solo ha coinvolgere il suo fratellastro Charlie, un ex-giocatore d’azzardo pentito interpretato da Bud Spencer, ma anche a completare la missione, per il quale era stato scelto, in modo rocambolesco. ‘Pari e Dispari’ era il loro decimo film e si pone nella classifica dei loro migliori film. Classifica che lo stesso blog stilerà più avanti, una volta passati in rassegna tutti i loro film in coppia.

Nel cast oltre a loro due erano presenti anche stuntman prestati, anche nei precedenti film, come attori: Luciano Catenacci, Salvatore Borgese, Riccardo Pizzuti e Claudio Ruffini. Inoltre era anche presente, nel ruolo di Suor Susanna, una giovanissima Marisa Laurito. Al botteghino riscosse un notevole successo. La cifra conquistata era di 5.524.525.184 miliardi delle vecchie lire, diventando il quarto maggiore incasso della stagione cinematografica del 1978-1979.

Questo decimo film della coppia è piacevole a vederlo e rivederlo, come tutti gli altri. Composto dai classici schemi ripetuti, rivisti e anche rinnovati per l’occasione senza mai stancare. Un piccolo classico che non deve mancare tra i fans dei due attori e che, anche per questo, ricordato ancora a distanza di anni.

Serie Tv

PERRY MASON E LE SUE ORIGINI NELLA NUOVISSIMA SERIE TV

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Sono già andate in onda i primi due episodi su Sky, ma il blog ha visto per intero la prima stagione.

Che sia chiaro: di remake, di reboot, di rifacimenti di qualsiasi tipo siamo un po’ tutti saturi ma, forse, non effettivamente stanchi. Cosa succede se un iconico personaggio, e sarebbe meglio aggiungere storico, venisse riproposto a distanza di anni e, addirittura, in uno schema narrativo totalmente rinnovato, senza mai distaccarsi dal genere di appartenenza? Cosa succederebbe, oltre modo, se questa nuova versione appare convincente e contemporaneamente alimenta la sensazione che potrebbe rimanere nel tempo, come l’idea originale?

Succede che sia il pubblico che la stessa critica rimarrebbero spiazzati. Per di più il successo sarebbe colossale, se il personaggio in questione, presenta il nome dell’avvocato più famoso della storia, sia della letteratura gialla e sia della televisione, ovvero Perry Mason. Si, proprio lui signore e signori.

Il ritorno del personaggio ideato dallo scrittore statunitense Erle Stanley Gardner era stato annunciato da diverso tempo e, addirittura, ad interpretarlo, inizialmente, doveva essere Robert Downey jr, l’Iron Man della saga della Marvel Cinematic Universe. Alla fine, l’ex Tony Stark, si è riciclato, si fa per dire, in questa nuova avventura come produttore.

Ammettendo che l’attore comunque non avrebbe sfigurato fisicamente per il ruolo, il problema sarebbe sorto per quanto riguarda l’impostazione recitativa di Robert; non perché non lo avrebbe proposto nel migliore dei modi, anzi, ma forse avremmo avuto un Perry Mason un po’ troppo egocentrico e spavaldo. D’altronde gli avvocati sono un po’ così, ma visto che nella nuova serie appena uscita su Sky e anche su Now Tv, lo scorso 11 settembre, si narrano le origini del celebre avvocato c’era bisogno di un attore diverso, con un’altra impostazione recitativa.

Per cercare di non far rimpiangere l’altrettanto leggendario ed indimenticato interprete Raymond Burr, che lo ha impersonato dal 1957 fino all’anno della sua morte nel 1993, la scelta della produzione doveva cadere su qualcuno che presentava un viso umile e non proprio famoso come l’ex-Iron Man, con la capacità di farlo accettare alle nuove generazioni. A spuntarla, nei casting, è stato Matthew Rhys, già conosciuto per la serie tv ‘The americans’.

L’interprete si è accollato una bella responsabilità, una missione non facile, nell’ereditare questa icona del genere giallo che rinasce non proprio in un legal procedural, ma attraverso una ‘crime story drama’ nella Los Angeles degli anni ’30. Il suo aspetto è trasandato, in crisi con sé stesso, con alcuni demoni del passato che lo tormentano e non è ancora avvocato. La sua insolita attività professionale è quella di investigatore privato, incredibile ma vero.

La vera missione di questa nuova serie, precisamente, è quella di mostrare un Perry Mason prima che diventasse quello che noi tutti abbiamo imparato a conoscere nel corso dei decenni; partendo dal presupposto che nei romanzi di Gardner non c’erano molte informazioni sul passato del personaggio. I due sceneggiatori, Ron Fitzgerald e Rolin Jones, hanno ambientato la storia, precisamente, tra gli anni 1931 e 1932, durante la Grande Depressione e il Proibizionismo. Il primo romanzo di Perry Mason venne pubblicato, ufficialmente, nel 1933 e questa serie, composta di soli otto episodi, si pone proprio come l’antefatto delle storie ideate e realizzate da Erle Stanley Gardner. Otto episodi che, come già detto hanno preso il via lo scorso 11 settembre e che termineranno il prossimo 2 ottobre, non sono altrettanti otto singoli casi ma un unico caso, un’unica indagine, suddivisa, come sarebbe giusto dire, in otto parti. Il blog ha già visto tutta l’intera prima stagione, dato che è disponibile immediatamente su Now Tv; su sky, invece, stanno andando in onda due episodi a settimana.

Ciò che possiamo dire, visto che la politica dello spoiler in questo blog non verrà mai applicata, è che l’intera linea gialla è indirizzata sul brutale omicidio di un neonato e, ovviamente, se si narrano le origini di Perry Mason appare anche giusto ricostruire i primi passi di altri due personaggi che gravitano intorno alla figura del principe del foro americano. Due personaggi fondamentali oltre che storici: la segretaria Della Street e l’investigatore al servizio di Mason, Paul Drake.

Se in ‘Perry Mason’ 2020 il personaggio della segretaria ha il volto dell’attrice Juliet Rylance, in tutti gli storici episodi ad impersonarla era stata Barbara Hale. Invece Paul Drake ha avuto, nel tempo, più attori e qualche innovazione. In principio possedeva il volto di William Hopper. Quando la serie riprese a metà degli anni ’80, Hopper era già morto da 15 anni. Infatti l’attore morì il 6 marzo del 1970, quattro anni dopo la fine della nona stagione in bianco e nero. Il ruolo fu ripreso da un altro William, divenuto famoso nel frattempo per un film cult, di fine anni ’70, ed un’ulteriore serie televisiva cult degli anni ’80: Un mercoledì da leoni e Ralphsupermaxieroe. Stiamo parlando di William Katt, figlio di Barbara Hale. Katt, tra il 1985 ed il 1989, interpreterà il figlio di Paul Drake, Paul Drake, jr. Dopo il 1989 il personaggio viene sostituito da Ken Malansky, interpretato paradossalmente da un altro William, William R. Moses.

Il nuovo Paul Drake ha il volto di Chris Chalk, il Lucius Fox nella serie dedicata alle origini del Cavaliere Oscuro dal titolo ‘Gotham’. Se quest’ultimo personaggio è afroamericano bisogna, da subito, precisare che ci sono ulteriori licenze poetiche che non sveliamo. Ciò, comunque, non cambia la sostanza. Non muta la positività dello show televisivo. Il nuovo Perry Mason è un noir raffinato, che parte prima come poliziesco per poi diventare un effettivo legal procedural; senza mai intaccare le caratteristiche classiche che hanno forgiato il genere giallo.

Di questo nuovo prodotto di intrattenimento non solo ne sentiremo parlare in futuro, ma è già stato rinnovato per una seconda stagione. In alcune dichiarazioni gli autori hanno fermato che i romanzi di Perry Mason pubblicati sono stati 80, quindi significa che hanno molto materiale da cui attingere. Quindi lunga vita a Perry Mason, per un ritorno in grande stile e addirittura inaspettato.

Storie Vere

ALLA LUCE DEL SOLE: IL CORAGGIO DI DON PINO PUGLISI

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Nel film di Faenza vengono raccontati gli ultimi due anni del prete anti-mafia

Nella lotta alla mafia le persone che hanno sacrificato la loro vita non hanno sempre indossato la divisa da poliziotto, da carabiniere o la toga da magistrato. Alle volte è capitato che le divise fossero altre, istituzionali, ma legate alla fede. A ‘Storie vere’ l’ennesimo fatto tragico da ricordare; una storia, appunto, fondata sul coraggio, nonostante il timore e la certezza di soccombere per un’unica colpa: quella di portare la speranza nei posti dimenticati da Dio.

Forse questo è l’unico modo di definire l’operato del parroco di Brancaccio che corrispondeva al nome di Don Pino Puglisi. La sua vicenda, la sua storia rivive nel film del 2005, scritto e diretto da Roberto Faenza e intitolato: ‘Alla luce del sole’.

Uscito esattamente il 21 gennaio del 2005, il film, ricostruisce gli ultimi anni di vita del prete antimafia: dal 1991, anno in cui ritorna nel suo quartiere natio al 15 settembre del 1993. Giorno non solo del suo cinquantaseiesimo compleanno ma anche della sua tragica morte, avvenuta per mano dei sicari di cosa nostra. Ad interpretarlo c’è un bravissimo Luca Zingaretti.

‘Alla luce del sole’ oltre che un’opera biografica si presenta anche come un mero spaccato di una Palermo, vista attraverso uno dei quartieri più degradati, dove la subcultura mafiosa era troppo forte da poter essere spazzata via. Lui, Don Pino Puglisi, riuscì in quella missione impossibile, facendo breccia nell’animo dei ragazzi di strada che giocavano a pallone. Li conquistò ad uno ad uno e a poco a poco.

Faenza ci mostra la semplicità di un uomo comune, la tenacia di cambiare le cose e l’isolamento che lo stesso parroco subì non solo per l’indifferenza di molti, ma anche dalla paura di affrontare conseguenze come quella a cui andò incontro lo stesso Don Pino Puglisi quel mercoledì sera.

Il giudizio sul film non è negativo. Non può esserlo, per il semplice motivo che la storia è stata riportata sullo schermo con molta umiltà e semplicità. Nonostante ciò, per dovere di cronaca, sono state riscontrate delle differenze con la realtà. Eterogeneità che hanno il sapore di piccoli errori storici i quali, molte volte, fungono da inspiegabili licenze poetiche. Il primo errore riscontrato è quello riguardante la strage di Via d’Amelio: è risaputo che la vettura fruita dai mafiosi era una fiat 126 verde pisello. Non si sa come, nel film, la vettura è una Seat Ibiza. Altro errore, e non di poco conto, è la ricostruzione dell’omicidio di Don Pino Puglisi. Nella realtà, purtroppo, il suo omicidio avvenne di sera alle ore 22.00, nella pellicola di pomeriggio. Non finisce qui. Nella stessa scena, ad attendere Don Puglisi ci sono Gaspare Spatuzza e Salvatore Grigoli con i fratelli Graviano. Ma questi ultimi, nella realtà, non erano presenti. Altra incongruenza è rappresentata dalla frase che lo stesso parroco anti-mafia rivolge ai suoi assassini: ‘me lo aspettavo’ e ‘non vi aspettavo’. Ultima: Don Pino Puglisi alla vista dei killer sorrise e non mostrò alcuna paura come si vede nel film.

Queste incongruenze, seppur notevoli, non scalfiscono il principale scopo di quest’opera cinematografica: quella di ricordare e di riportare alle nuove generazioni, non solo di siciliani, l’esempio di un uomo il quale aveva messo la sua al servizio di Dio e del prossimo fino alla fine, sapendo a ciò che andava incontro.